Mente e Braccio
18 settembre 2011 1 commento
Appena tornati a scuola, appena tornati dalle nostre amate vacanze, ed ecco che una domanda assale tutti gli studenti delle scuole italiane: ma io, cosa ci faccio qui? Perché lo Stato italiano mi costringe (almeno fino ai 16 anni) a subirmi interminabili ore di Italiano, Matematica, Latino, Fisica, Storia, Filosofia etc. etc. etc? A cosa mi servirà mai, nella vita, sapere che Marco Tullio Cicerone è stato console nel 63 a.C., che egli medesimo ha scritto il De Senectute, che per un punto esterno ad una retta ne passa una ed una sola parallela a quella data (secondo Euclide), che la terra è un geoide o che la pressione esercitata su un punto di un fluido incomprimibile si distribuisce uniformemente su tutti gli altri punti di tale fluido. La sensazione, insomma, sembra essere quella, magari non al Liceo Einstein, ma la cosa è certamente diffusa, che in un’epoca di espansione digitale la scuola, e i suoi metodi di insegnamento tradizionali, non abbiano più ragion d’essere.
Questa riflessione porterebbe a discussioni su cosa voglia dire “insegnare” e “imparare”, a riflessioni sulla “morte della profondità”, vera o presunta, avvenuta nel 2026 o ai giorni nostri, declamata da Alessandro Baricco su “Wired” (http://mag.wired.it/rivista/storie/i-nuovi-barbari.html), se Internet possa veramente aiutarci ad ampliare le nostre coscienze, o stia piuttosto esplodendo sotto il peso troppo grande delle migliaia di link che troviamo in ogni pagina. Il mondo insomma sta cambiando, e il mio (il nostro) tema di quest’anno (escluso l’ultimo articolo che scriverò, che vuole essere una sorpresa) vuole essere proprio questo: raccontare un mondo che cambia e una rivoluzione all’interno della quale, bene o male, siamo tutti immersi.
Mentre questa rivoluzione ci avvolge, ecco che vecchi temi tornano alla (mia) memoria, come la dialettica pensiero-azione che ha fatto riflettere l’uomo fin da quando è nata in lui una capacità di pensiero astratto.
Se infatti la grande forza di questa “terza rivoluzione industriale” (come piace chiamarla ai libri di Storia) è proprio la conoscenza e l’informazione, ovvero la capacità di riflettere in modo non direttamente correlato ai benefici immediati; se la nostra società, insomma, sta diventando sempre più una “società di informazione”, non sembra però che stia diventando sempre più una società di “cultura” e “consapevolezza”. Questa ondata di informazione rischia, insomma, di travolgerci, con 8 anni di video caricati su Youtube ogni anno (http://www.youtube.com/t/press_statistics), con più di 30 miliardi di “pieces of content” condivisi ogni anno su Facebook (http://www.facebook.com/press/info.php?statistics), con più di 140 milioni di tweet scritti ogni giorno (http://blog.twitter.com/2011/03/numbers.html) e con un tempo medio di lettura per ogni pagina che si va costantemente riducendo. Così veniamo invasi ogni giorno da tonnellate di informazione, petabyte (1015 byte, http://physics.nist.gov/cuu/Units/binary.html) che la maggior parte di noi non leggerà, informazioni che si annidano in reti e sottoreti, in un mondo sempre più connesso ma sempre meno significativo.
Tralasciando tutti i problemi che ciò comporterà ai futuri “filologi digitali”, che dovranno decidere cosa salvare di tutto questo marasma, è indubbio che tutta questa massa di testo, immagini, audio e video ci possa confondere, facendoci perdere di vista ciò che è veramente significativo. Su Internet, infatti, c’è gente che ci studia (http://ocw.mit.edu/index.htm – http://www.khanacademy.org), gente che fa (http://boinc.berkeley.edu/) e pubblica ricerca (http://arxiv.org) in modo che tutti possano accedere alla cultura. Al contempo, però, c’è gente che diffonde pedopornografia (eccovi le e-mail e le password di alcuni di loro, scoperti da Lulz Security – http://www.linkiesta.it/gli-hacker-all-attacco-dei-pedofili-su-internet) e chi, un po’ meno criminalmente, si trastulla con attività inutili o si perde nella miriade di tweet riguardanti il senza dubbio interessante argomento WE STAY WITH NICK J (che presumibilmente sta per il cantante Nick Jonas, ma ciò non lo giustifica, per quanto sia indiscutibilmente il più bravo sulla piazza, ad essere nella top ten, insieme a #missitalia nella serata del 18 Settembre, quando ci dovrebbe essere qualcosa tipo #SomaliaCrysis e #BuffetRule fra gli argomenti di discussione più in voga nel pianeta, oltre a #TarantiniGate in Italia).
Ognuno tragga le conclusioni che crede, ma a me sembra che noi, sempre più invasi non solo dalle gesta di “supereroi” (super-cantanti, super-attori, super-modelli) che cavalcando la cresta dell’onda ci imponevano le mode del momento, ma anche dalla vita poco entusiasmante di uomini comuni, “come noi”, in cui ci identifichiamo e di cui vogliamo sapere tutto attraverso i blog e i social network, ecco, noi ci stiamo dimenticando che il nostro tempo non andrebbe sprecato a leggere tutto ciò, ma per farci una cultura, per leggere qualcos’altro, come ad esempio dei libri (o dei file, fate voi) scritti piuttosto che solo “parlati con il computer”, qualcosa che lasci il segno e su cui poter discutere. Allora sì, allora avrà un senso Twitter e i suoi 140 caratteri, per permettere a tutti di esprimere i loro aforismi.
Internet, dunque, che dovrebbe offrire a tutti noi finalmente la possibilità di diventare “creativi a costo zero”, abbattendo radicalmente il prezzo di fruizione e creazione di un’opera (anche di qualità) ci sta invece portando verso un baratro inesorabile, fatto di volti di quattordicenni perennemente in crisi di astinenza da Facebook, che aggiornano spasmodicamente per vedere “se qualcuno mi ha scritto”.
Riprendiamoci Internet, dunque, perché Internet è nostra! Facciamo nostri questi collegamenti, sfruttandoli appieno, leggendo ogni pagina prima di chiuderla e passare ad un’altra. Riscopriamo il gusto dei siti semplici, senza tanti fronzoli ma con tanti contenuti, e utilizziamo i “social network” non per condividere qualche battuta che qualcuno più spiritoso di noi ha scritto, ma per cercare di crearla, quella battuta, e per condividere cultura.
Smettiamo, insomma, di rimanere “fagociti” di Internet, ma diventiamo piuttosto i “linfonodi” e i “neurotrasmettitori” della grande rete, difendendola e portando i suoi messaggi anche a chi ancora non li ha ricevuti. Cerchiamo, insomma, di non banalizzare questo strumento, innanzitutto elevandoci al rango di creatori, e poi elevandoci al rango di creatori di classe, evitando le banalità e le brutture antiestetiche, ma privilegiando tutto ciò che è amatoriale e sempre perfettibile, che trova nella comunità la sua vera forza. E poi, ogni tanto, stacchiamo la spina dalla rete e leggiamo, magari sul nostro monitor, un bell’articolo o un bel libro, ancora da “spettatori passivi”. Perché per creare è assolutamente necessario fruire, e per creare bene è necessario fruire il meglio.
Trasformiamo, infine, il web in qualcosa di utile per tutti, per le persone disagiate, i dissidenti, gli emarginati, perché anche loro abbiano una voce, e anzi abbiano voce ancora più forte, come la farfalla che, battendo le ali in Brasile, causa un uragano a Thaiti (http://en.wikipedia.org/wiki/Butterfly_effect). Eleviamo Internet a rango di strumento per la nostra cultura, sfruttiamo il nostro cervello, infinite volte più potente di ogni computer (http://library.thinkquest.org/C001501/the_saga/compare.htm) per non relegare Internet a discarica della società.
Il futuro di Internet è nelle nostre mani di nativi digitali. E noi dobbiamo sfruttarlo al meglio.